È illegittima la clausola “stop floor” inserita in un contratto di leasing qualora non conforme ai canoni imperativi di chiarezza e trasparenza propri dei contratti bancari. Il Tribunale di Udine nella sentenza n. 850/2017 ha così stabilito la nullità di un contratto di interest rate option, avente lo scopo di assicurare un tasso minimo di rendimento nel caso di variazione dell’indice Euribor al di sotto della base di calcolo prefissata pattiziamente. In particolare, il Tribunale ha accertato la mancata indicazione, sia nel foglio informativo che nel contratto di locazione finanziaria, da parte dell’intermediario di elementi sufficienti a rendere comprensibili per il cliente sin dall’inizio del rapporto contrattuale i costi e i rischi sottesi alla pattuizione.
Il giudicante ha quindi ravvisato la nullità della clausola per difetto di trasparenza, ritenendo il contratto viziato sotto il profilo causale. Reiterando un orientamento ormai diffuso tra la giurisprudenza di merito, ha quindi affermato che, in caso di clausola floor inserita all’interno di un rapporto di finanziamento, l’intermediario deve avvertire il cliente della natura di “derivato embedded a contenuto opzionale” della pattuizione, nonché fornire una rappresentazione delle “prospettive del sottostante, sotto forma di scenari probabilistici di andamento dei tassi di interesse futuri. Ciò perché il cliente deve comprendere la funzione specifica di tale clausola (finanziaria, e non legata al contratto-base), ed il suo corretto valore; solo così egli saprà quali sono i costi, anche impliciti o differiti, associati alla più ampia operazione di finanziamento”.
Dalla statuizione di nullità della clausola stop floor il Tribunale di Udine fa discendere altresì l’inefficacia di tutta la pattuizione relativa agli interessi del contratto di leasing, ivi inclusa la parte relativa all’indicizzazione dei canoni, facendo applicazione dell’art. 1419 c.c. per cui le parti non avrebbero stipulato quella clausola sapendo della nullità parziale della stessa.