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Monete virtuali e V Direttiva antiriciclaggio

27 Dicembre 2019

Il 10 novembre 2019 è entrato in vigore il decreto legislativo 125/2019 attraverso cui è stata recepita nel nostro Paese la V direttiva antiriciclaggio (n. 843 del 2018). La nuova disciplina presenta alcune peculiarità, rispetto alla precedente, che meritano di essere passate in rassegna. La V direttiva è stata adottata dalle istituzioni europee a breve distanza dalla IV e contiene specificazioni di alcune misure già previste. Inoltre, a differenza di quelle che la hanno preceduta, non si connota per il recepimento – a livello normativo – di Raccomandazioni del FATF (Financial Action Task Force) istituito nell’ambito OCSE. Al contrario affronta alcuni aspetti critici del quadro normativo previgente, portati in risalto dagli attacchi terroristici che hanno recentemente colpito Parigi ed altre città europee, oltre che dalla diffusione dei c.d. Panama Papers.

 

Le novità introdotte dalla V direttiva sono numerose: l’ampliamento dei soggetti chiamati ad applicare la disciplina antiriciclaggio, introducendo – ad esempio – anche i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e quelle aventi corso forzoso e di portafogli virtuali; la previsione di un registro relativo alla titolarità effettiva delle persone giuridiche e dei trust; il rafforzamento della cooperazione tra le autorità a livello nazionale ed internazionale; ulteriori limitazioni dell’utilizzo della moneta elettronica anonima.

 

La V direttiva sembra prendere atto dell’importanza sempre più consistente assunta dalle valute virtuali all’interno del mercato internazionale. In particolare, è opportuno ricordare come fino a questo momento le c.d. cripto valute non erano state oggetto di uno specifico intervento normativo in ottica antiriciclaggio. Questa zona grigia è stata spesso utilizzata, sfruttando l’anonimato associato a queste valute, per realizzare traffici illeciti, oltre che per il finanziamento di attività terroristiche (Considerando n. 8). Il legislatore italiano, giocando d’anticipo su questo terreno, aveva già incluso, in sede di recepimento della IV direttiva (decreto legislativo 90/2017), i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuale e quelle aventi corso forzoso tra coloro che erano chiamati ad applicare la disciplina antiriciclaggio, stabilendo anche l’obbligo di iscrizione nel Registro OAM. L’art. 3, paragrafo 1, punto 3, lett. g) e h) della V direttiva, coerentemente, impone a tutti gli Stati membri di estendere la disciplina in esame anche ai fornitori di servizi di cambio tra cripto valute e quelle aventi corso legale, nonché – innovando anche la disciplina italiana – ai prestatori di servizi di portafoglio digitale.

 

Inoltre, il considerando n. 9 della direttiva prevede che le unità nazionali di informazione finanziaria (FIU) dovrebbero essere in grado, al fine di monitorare le operazioni che prescindono dalla conversione della criptomoneta o dall’utilizzo di portafogli digitali, di raccogliere i dati necessari per associare l’identità del proprietario della valuta virtuale agli indirizzi della valuta stessa. Questo compito dovrebbe essere facilitato anche dalla previsione di strumenti che consentono agli utenti di presentare un’autodichiarazione relativamente al possesso di criptovalute.

 

L’estensione della disciplina antiriciclaggio anche ai prestatori di servizi di cambio tra valute virtuale e quelle aventi corso forzoso ed ai prestatori di servizi di portafoglio digitale mette in luce una specifica scelta di politica legislativa, ovvero quella di progressiva equiparazione – almeno su questo terreno – delle fintech agli intermediari bancari e finanziari.

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