Con la sentenza del 14 maggio 2019, n. 12853 la Cassazione si è occupata dell’obbligo del creditore pignoratizio di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell’ipotesi in cui oggetto di pegno siano titoli azionari.
Nel caso di specie, il correntista conveniva in giudizio la banca per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita delle azioni Alitalia – di cui la banca era creditore pignoratizio –, “nonostante il progressivo e forte deterioramento di valore sui mercati regolamentati e nonostante egli avesse più volte sollecitato la relativa monetizzazione”. Secondo il debitore, a seguito del comportamento omissivo della banca (durato circa due anni), i titoli dati in pegno avevano perso gran parte del loro valore. Il Tribunale di Milano, accertata fra l’altro la violazione dell’art. 1375 c.c., condannava la banca al risarcimento dei danni. La Corte di Appello però riformava integralmente la pronuncia di primo grado.
La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Milano, che dovrà quindi riesaminare la controversia sulla base del seguente principio di diritto: “viola l’obbligo di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto e di conservazione della cosa ricevuta ex art. 2790 c.c., il creditore garantito che, a fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento del bene in garanzia, non si attiva per procedere all’eventuale liquidazione del medesimo; del pari, è da ritenere contrario al canone di buona fede il comportamento del creditore garantito che non dia tempestivo e motivato riscontro alle sollecitazioni di liquidazione provenienti dal datore, che paventi il rischio concreto di deterioramento del bene in garanzia”.